Prendete l’arte che Madre Natura ci mette nel fare le cose e mescolatela al talento; unite una manciata di tecnica, una buona dose di determinazione ed il cocktail del successo è servito. Lo sa bene Emanuele Buzzi, cresciuto a pane e piste sugli altopiani sappadini, che a soli 24 anni ha vinto gare importanti realizzando il primo sogno Olimpico a Pyeongchang nel 2018. Chi lo conosce sportivamente, sa che Buzzi è un ragazzo solido, “quadrato”, che cerca di migliorare costantemente se stesso in una sfida continua con i propri limiti, a caccia di scoperte sulle proprie potenzialità inesplorate. Un giovane talentuoso che si contraddistingue per la sua forza e per il suo equilibrio; un atleta sensibile nei confronti della pista, padrone dei tempi di reazione e dei propri piedi che muove con rapidità e velocità senza perdere il controllo. Dietro al volto da campione poi c’è Lele, un ragazzo solare che ama godersi la vita e divertirsi, molto legato alla famiglia che l’ha sempre supportato nelle sue imprese, con il quale abbiamo scambiato due parole.
Emanuele, cosa cambia quando la passione diventa una professione?
Se avviene la trasformazione è una fortuna che però stravolge completamente la prospettiva. Il mio lavoro è bellissimo perché incarna la mia passione e per questo mi ritengo un privilegiato. Amo lo sci perché ogni giorno è diverso e c’è la possibilità di sperimentare sempre se stessi, le proprie capacità, i propri limiti attraverso un tracciato che subisce l’influenza del meteo. È questo che rende lo sci uno sport così stancante, duro, perché è difficile avere un riscontro immediato e il risultato dell’allenamento non è detto corrisponda a quello di gara; ma è sempre per questo motivo che lo trovo così entusiasmante!
Cosa incide maggiormente nel raggiungimento dei risultati?
Senza dubbio l’alimentazione e l’allenamento, uniti a persone di fiducia capaci di supportare l’atleta lungo il suo percorso. Preciso che l’allenamento non è solo fisico ma anche mentale perché è la testa che determina il 60% della performance. Le esercitazioni alle quali sono sottoposto implicano un importante controllo neuromuscolare dal momento che lo sci richiede una grande percezione del proprio corpo in situazioni spesso mutevoli. La tecnica serve, consente di gestire la gara, aiutano anche i materiali che devono essere buoni e il setup giusto. Ma per vincere ci vuole un qualcosa in più che consiste nel lavorare molto su se stessi. Prima di una gara io sono super concentrato: penso a tutto e poi, una volta al cancelletto, mi abbandono all’istinto di sentirmi veloce.
Qual è il tuo sogno più grande?
Arrivare alle Olimpiadi è stato un traguardo importante, atteso e desiderato. È stata un’esperienza che mi ha davvero emozionato perché prima di me l’ha vissuta mio nonno Bruno del quale custodisco il pettorale dello sci alpino dei Giochi di Torino. Nella vita di tutti i giorni cerco di non crearmi pressioni particolari o di fissarmi su obiettivi rigidi, ma ambisco sempre a raggiungere traguardi sportivi importanti perché formativi, sia dal punto di vista umano che professionale, perché ti mettono faccia a faccia con i tuoi limiti e le tue paure, ti fanno capire fino a che punto puoi osare e quando invece è meglio non rischiare.